Abbiamo visto e parlato di Dente solo pochi mesi fa, a novembre 2024, in occasione di Iperbolica, lo spettacolo di musica e letture che il cantautore fidentino stava portando in giro in quel periodo – non un vero e proprio concerto, dunque, cosa che ci permette di tornare a parlarne (ma in realtà lo facciamo semplicemente perché ci piace) oggi, a 24 ore dalla sua data romana al Monk di presentazione del nuovo album Santa tenerezza (INRI Records 2025).
Ho sempre apprezzato Dente, al secolo Giuseppe Peveri, perlomeno dal suo secondo album, Non c’è due senza te (2007), quello con cui l’ho scoperto: un cantautorato poetico, onirico, ironico, che pesca nella grande tradizione della musica d’autore italiana con l’intento di mostrarne l’attualità (o attualizzandola, se preferite). Dente è stato fra i primi cantautori indie emersi nei Duemila (insieme a Le luci della centrale elettrica)1, quella “scena” che sarebbe poi esplosa nel 2015 con Calcutta riproducendo in piccolo (piccolissimo) la fagocitazione dell’underground nel mainstream avvenuta a livello mondiale negli anni Novanta. Ma lui, forse suo malgrado, ha sempre continuato a navigare sottotraccia, scrivendo musica con una coerenza quasi ossessiva. Santa tenerezza è il suo nono album, e io l’ho sentito per la prima volta ieri, dal vivo. Bello, è Dente.
Ma partiamo dall’inizio. Ad aprire le danza di questo “concerto presto” è, alle 19:30 spaccate, Anna Carol, cantautrice bolzanese dal tocco soave, che presenta il suo secondo album, Principianti (INRI Records), con in testa un cappello da marinaio (così come è ritratta sulla copertina dell’album), forse legato ai versi de “Il contrario”: “Voglio la fede dei marinai / Voglio il coraggio dei santi / Voglio mia nonna con il rosario / E poi vorrei fare tutto il contrario”. Molto intense anche le altre canzoni: “Boreale”, “Invece di stare con te” (su disco cantata proprio con Dente, ma solo nella versione vinile) e “Diversi tipi di dolore”, per cui la cantautrice scomoda nientemeno che il buon Nietzsche (quindi per noi filosofastri è promossa) per cui la più grande presunzione degli esseri umani sarebbe quella di essere amati. Da riascoltare.

Alle 20 sale sul palco Dente con band. Ora, devo confessare una cosa, non mi ricordo di aver visto altri suoi live dopo la manciata di concerti a cui mi capitò di partecipare fra il 2007 e il 2009 in pianura padana, probabilmente no. Per cui il fatto che per le prime tre canzoni si sia limitato a suonare (alternando alla chitarra acustica il piano elettrico) mi ha stupito, ricordando bene la sua verve comica (contraltare della malinconia della musica, sebbene spesso condita da giochi di parole) e la voglia di interagire col pubblico. Sarà maturato, ho pensato. No, cioè questo non lo so, quello che so è che piano piano si è sciolto ed è tornato il Dente che conosco.
È appena uscito il nuovo album, e giustamente l’ossatura del live è improntata sui pezzi nuovi. Cito quelli che mi hanno maggiormente colpito: “Corso Buenos Aires” (“In Corso Buenos Aires io non ci vado più”); “Hey” (“A casa mia domani è sempre domenica”); “M’annegasti” (“E non ho più una via d’uscita / Non posso stare senza te / Faccio il solletico alla vita / Con queste dita che ho di te su di me”). In generale musica di grande qualità, per altro suonata benissimo dal vivo. Il sax, protagonista in almeno un paio di pezzi, dà una spruzzata di energia e ricercatezza che ti catapultano in un’atmosfera a mezza strada fra Dalla e i Bee Hive (ma in senso buono).

Non mancano, come non devono mai mancare, i grandi classici come “Buon appetito” (introdotta così da Dente: “e ora una canzone molto inedita, mai eseguita prima”), “Baby Building” (che amo particolarmente perché sono un nostalgico), “A me piace lei”, “La presunta santità di Irene” (gioiellino), “Vieni a vivere come me” (eseguita durante il bis), “Saldati”; e altre belle canzoni come “Coniugati passeggiare” (“Ogni tanto ti penso spesso”), “Zenzero” e “Il mondo con gli occhi” (“E guardo gli occhi con il mondo di un bambino”), prima della quale sono andati “in onda” una serie di messaggi vocali di amici artisti, fra cui di sicuro Colapesce (con cui fra l’altro Dente collaborò in “Zenzero”), che solano il concerto inventandosi scuse surreali.
La sala piena (un caldo mortale) canta tutte le canzoni a memoria, ci sono giovani vecchi bambini, non si capisce più nulla. A partire forse dalla quint’ultima canzone Dente, prima di attaccare un nuovo pezzo, afferma che quella che sta per fare sarà l’ultima, per testare “il livello di disperazione” del pubblico, il quale risponde lamentandosi sempre di più mostrando un affetto autentico per il cantautore.
E così un altro concerto di Dente se n’è andato. Ottima la scelta di suonare presto, all’americana, per non far andare a dormire troppo tardi i fan attempati.

s.
- Cantautori affini (in termini di qualità musicale) come Morgan e Bugo, già in attività, erano, a differenza, pubblicati da major ↩︎