Di Andrea Belushi
Marzo 2015. Eravamo i GattuZan e, nonostante la temporanea assenza di un Johnny Amore messo seriamente ko da un’overdose di space cake, eravamo la miglior band del sud-est della Via Lattea.
Un paio di mesi prima avevamo pubblicato il nostro disco d’esordio Dolcevita, un doppio album che contava ben 32 tracce, frutto di anni passati ad accumulare centinaia di canzoni, massacrarci il fegato, rischiare seriamente il carcere, suonare in ogni possibile bettola per racimolare denaro da investire sul disco ma strizzando gli occhietti ad ogni vizio possibile. Senza ombra di dubbio il periodo più bello della nostra vita. Il pazzesco release party di Dolcevita al Supersonic di Foligno ci ha reso famelici e consapevoli di poter attuare una blitzkrieg spietata e terrorista. Fissiamo due date: il 7 marzo al “George Best” di Napoli e il giorno successivo a “Le Mura” di Roma.
Il 7 mattina passo a prendere Poder, Ringor e Fairplay con l’Opel Agila ma prima di partire decidiamo di far colazione in un forno-bar di Foligno, noto per opulenza e disagio. Consumiamo l’impossibile, ci fumiamo una sigaretta sui tavolinetti esterni e quindi rimontiamo in macchina. Giusto il tempo di avviare il motore, mettermi la cintura che Poder sobbalza e dopo una tonante bestemmia urla: “merda raga, me sà che m’è cascato il fumo dentro al bar!”. Esce dalla macchina lasciando spalancato lo sportello posteriore e si fionda all’interno del locale con la stessa paralimpica saudade delle canzoni dei fast animals and slow kids. Torna dopo mezzo minuto, senza fiato, avvolto dalla stessa fantasmagorica idiozia riluttante di Ed Sheeran ma col fumo in mano. Riusciamo finalmente a partire e in meno di due ore siamo sotto casa di Felipe a Roma.
Carichiamo la Fiat Multipla, bissiamo la colazione e in meno di mezz’ora i nostri 5 culi sono già sull’A1 direzione Napoli. All’altezza di Frosinone e senza preavviso parte il coro: “messicano, messicano, messicano!”. Rinor incolla tre cartine lunghe, io trito l’erba e Poder squaglia un bel po’ di Hashish; il risultato è un cannone di almeno 15 centimetri che nel giro di 10 minuti trasforma la Fiat Multipla in un simposio di maschi omega in preda ad un neanderthaliano disturbo borderline. Appena entrati in Campania becchiamo l’autobus dell’Inter ma, sprovvisto di bombe molotov, mi limito ad urlargli contro tutto il mio disprezzo rischiando di cadere dal finestrino. Merde. Arriviamo a destinazione intorno alle 16, ignari di quanto sarebbe stato difficile e assurdo raggiungere l’albergo.
Napoli ci accoglie come un boccatone assestato da una mano stracolma di mosche che affogano ronzanti in uno strato di pus. Il navigatore ci fa girare in tondo come degli stronzi per più di mezz’ora, chiamiamo il nostro contatto ma neppure lui è in grado di spiegarci dove cazzo bisogna andare. Ad un certo punto Eureka!!! Prendiamo coscienza che bisogna iniziare a pensare da partenopei, abbracciare il loro Matrix, scomporre la realtà arrotondandone l’essenza. Entriamo in una galleria, imbocchiamo una stradina pedonale contromano ed eccoci finalmente davanti all’albergo! Posiamo le nostre cose, ci fumiamo un’altra canna e quindi rimontiamo in macchina per raggiungere il locale. Arrivati in centro, viene a prenderci Stef dei Pipers che ci fa parcheggiare vicino a Piazza Dante elargendo una banconota da 20 euro al nobile cavaliere del lavoro locale, un parcheggiatore abusivo identico spiccicato a Baraka di Mortal Kombat che abbiamo prontamente soprannominato “Pall’e’merd”.
Entriamo al “George Best music & football club”, beviamo qualche birra e in meno di un’ora ci togliamo il pensiero del soundcheck. Confesso a Stef che questa è la mia prima volta a Napoli. Fomentato da questa notizia, decide di portarmi a fare un veloce giro panoramico in macchina per poi mostrarmi il suo studio di registrazione. Tornati al locale ceniamo con delle pizze, tracanniamo svariate birre e Stef ci porta a bere qualcosa in una via del centro piena di bar. Torniamo al locale poco dopo la mezzanotte e il proprietario ci consiglia di montare sul palco non prima delle 2. Passiamo il tempo sbevazzando long drinks, fumando erba e poco prima delle 2 saliamo sul palco completamente strafatti e ubriachi. Ad assistere al live c’è il pubblico delle grandi occasioni: mio cugino Davide detto Rasputin che vive a Pompei, Stef e il proprietario del locale. Suoniamo seriamente di merda, quasi alle cieca e con una disfunzione neuronale senza precedenti. A metà scaletta si rompe la pedana del palco e Ringor sprofonda in una voragine con tutta la batteria. Concerto finito prima del tempo, poco male. Prendiamo il cachet, salutiamo il pubblico delle grandi occasioni e torniamo in albergo.
Alloggiamo tutti e 5 in una minuscola camerata con dei letti a castello, fumiamo un altro paio di joint e intorno alle 5 del mattino decidiamo che è giunta l’ora di dormire. Dopo 2 ore veniamo svegliati da due operatrici delle pulizie che entrano in stanza spalancando la porta e strillando come scrofe da mattatoio. Ci alziamo di scatto emettendo rauche bestemmie piuttosto creative accompagnate da atroci mugugni di disidratato supplizio. Mi volto verso Poder e noto che ha un’occhio a Greenwich e l’altro a Nagasaki. Le inservienti ci cacciano dalla stanza ma in qualche modo riusciamo a raccattare tutto e trascinare le nostre cose in macchina. Ripartiamo da Napoli molto prima del previsto, tumefatti e visibilmente nervosi. Arriviamo a Roma intorno alle 10 del mattino e fortunatamente riusciamo a collassare qualche ora a casa di Felipe.
Arriviamo a “Le Mura” appena in tempo per il soundcheck e ad aspettarci li c’erano la Rosh e la Weedy con due birrette fresche in mano. La Rosh mi porge il bicchiere, provo a berne un sorso ma mi rendo immediatamente conto che sto ancora in modalità “giraffa da foie gras”. Non so come ma riusciamo a sfangare il soundcheck; facciamo schifo, non sentiamo una sega e ci guardiamo con l’eutanasia nelle pupille. Decidiamo di farci un giro per San Lorenzo, strozziamo qualche vodka-tonic in un paio di bar e verso le 23 montiamo sul palco.
Suoniamo di merda ma almeno riusciamo a portare a termine la scaletta prevista, prendiamo i soldi e ognuno se ne va dove gli pare. Io e la Rosh andiamo a casa della Weedy che in quel periodo viveva non troppo lontano da lì, sempre in zona San Lorenzo. Saliamo, ascoltiamo un po’ di musica, fumiamo dell’ottima erba e verso le 2 collassiamo su un comodissimo divano-letto. Io e la Rosh ci svegliamo poco prima delle 11, prendiamo un bus per casa di Felipe, carichiamo l’Opel Agila, ci fumiamo un massiccio “messicano” e decido di mettermi alla guida per portare a casa i ragazzi. In macchina siamo io, Poder, Ringor e la Rosh.
Arrivati al casello di Orte pago il ticket e, superata la sbarra, vedo un corpulento carabiniere che agita la paletta segnaletica invitandomi ad accostare. Sono abbastanza tranquillo e forse l’unico problema è la macchina visibilmente stracarica di strumenti, pedaliere e merchandising. Si toglie il cappello e avvicinandosi al finestrino dice: “patente e libretto per il guidatore, carta d’identità per gli altri 3… velocemente eh… non mi fate perder tempo!”. Raccolgo i documenti dei ragazzi, i miei, apro la portiera, scendo e li do allo sbirro che prima li prende e poi mi urla contro: “per caso qualcuno le ha detto che può scendere dal veicolo?… si accomodi e chiuda la sportello! Anzi, abbassate leggermente tutti i finestrini e mettete entrambe le mani fuori! Torno tra un paio di minuti e se qualcuno le ricaccia dentro sono cazzi amari!”.
Lo sbirro porta i nostri documenti al suo collega che attendeva appoggiato alla volante. Si gira verso la nostra macchina per controllare se avessimo ancora le mani in bella vista, si accende una sigaretta ed inizia ad incamminarsi verso di noi. Sembra il fratello malvagio di Mick Hucknall dei Simply Red; pelo ginger, stazza ciclopica, eminenza infernale da antagonista nato. Si china verso di me e dice: “tu vieni con noi a pisciare e se vi dice culo non tornate a casa prima di domani sera!”. Ordina alla Rosh di uscire dalla macchina e la fa sedere da una parte dicendole: “a breve chiamerò una collega per perquisirla. Se ha qualcosa da dichiarare lo faccia ora!”. Domando sottovoce agli altri due se per caso hanno della roba in tasca; Ringor non ha niente mentre Poder dice di avere una mezza cima d’erba in tasca che non è riuscito a gettare a causa delle mani inchiodate fuori dal finestrino.
Lo sbirro torna da noi e ridacchiando ci dice: “tanto io lo so che siete pieni di roba e se non la tirate fuori vi faccio restare così fino alla cancrena! Forse non avete capito con chi avete a che fare!”. Ogni tanto si rivolge al collega dicendogli cose tipo: “quanto scommetti che questi in carcere non resistono neanche una notte?”. Oppure: “sti cuccioli de volpe pensavano di farla franca ma han trovato me!”. Ad un certo punto mi invita ad uscire lentamente dalla macchina ma sempre con le mani bene in vista. Mi ordina di svuotare le tasche e gettare in terra ogni cosa; inizia a controllare a fondo il portafoglio, il telefono e addirittura un taccuino. Non trova un cazzo e innervosito mi urla contro imponendomi di andare a sedere accanto alla Rosh con le mani bene in vista. Fa la stessa cosa con Ringor che dopo un paio di minuti viene a posare il culo accanto a noi. Per ultimo esce Poder e dalla tasca tira fuori un pezzo di pellicola contenente una misera mezza canna d’erba. La mostra allo sbirro e dice: “abbiamo solo questa, giuro!”.
Mi metto le mani tra i capelli, guardo una legione di formiche che passa sotto di me ed inizio a desiderare fortemente di essere una di loro. Ho la patente provvisoria e non è passato neanche un anno da quando me l’han ritirata per guida in stato d’ebbrezza; se mi fan pisciare sono fottuto. Lo sbirro dice a Poder di gettare in terra l’erba e poi gli ordina di calpestarla con violenza. Lo stronzo sghignazza e voltandosi verso di noi dice: “ora sono cazzi vostri!… rimanete a sedere lì! datemi giusto il tempo di compilare il verbale e poi vi portiamo tutti in caserma!… ve l’avevo detto che non sareste tornati a casa prima di domani sera!”.
Sono passati più di 40 minuti tra minacce, insulti ed ogni genere di angheria psicologica. Lo sbirro torna da noi e ci intima di aprire il bagagliaio. Eseguo l’ordine e nota subito una valigetta vintage che spicca tra il disordine degli strumenti. Me la fa aprire e domanda: “cos’è sta roba?”. Rispondo che siamo una band, veniamo da due giorni di concerti e questi sono i nostri dischi. Lo sbirro ne afferra uno, lo guarda attentamente e poi dice: “bello! ne posso prendere uno?”. Da quel preciso istante la situazione non solo cambia ma prende una piega a dir poco assurda; lo sbirro cambia tono della voce, gli si illumina il viso ed inizia a darci pacche sulla schiena gesticolando in preda ad una contenuta euforia. Tira fuori il cellulare, ci mostra le foto di un massiccio sequestro di piante di marijuana e strabordante d’orgoglio esclama: “questo forse è il mio capolavoro! Saranno state, non scherzo, almeno 200 piante!”. Si pavoneggia come una giovane Elisabetta di Baviera al suo primo valzer in maschera e infine afferma: “nessuno la fa franca con Peppe!”.
Ripone il cellulare in tasca, toglie la pellicola al disco, lo apre e appena realizza che è un doppio album di 32 tracce ci fa: “cazzo, ragazzi… qui siamo al limite del suicidio discografico, siete dei folli ma chapeau!… me lo autografate?”. Mi giro verso gli altri tre; Ringor è piegato in due dal ridere, la Rosh ha già una penna in mano mentre Poder è pronto per essere il pezzo forte nel museo londinese di Madame Tussauds. Lo sbirro spalanca le ante interne del disco dove capeggia l’immagine del culone di King Rolly (il cane di Ringor) in spiaggia che guarda la proiezione psichedelica di una palma e rivolgendosi a me dice: “ci voglio pure la dedica: a Peppe la guardia infame, poi me la firmate tutti e 4!”.
Dopo essermi assicurato di non incorrere nel reato di oltraggio a pubblico ufficiale, trascrivo la dedica, autografo il disco e lo passo agli altri tre. Peppe ci ringrazia promettendo di ascoltare l’album nella volante insieme al suo collega, poi si china per raccogliere l’erba e dopo averla restituita a Poder esclama: “levatevi dalle palle e guidate con prudenza!”. Rimontiamo in macchina destinazione Foligno; per circa mezz’ora non è volata una mosca ma all’altezza di Terni nord Ringor esclama: “vi giuro che ora darei via il culo per sentire Dolcevita sparato a palla dalle casse di una volante degli sbirri!”.
Eravamo i GattuZan, ovvero la miglior band nel sud-est della Via Lattea.