Quella volta il capufficio mi aveva chiesto di aiutare il nuovo arrivato – insomma, erano passati già due anni dal suo trasferimento, ma fino ad allora era riuscito a non farsi mai vedere – a confezionare una pubblicità di un minuto per promuovere i prodotti dell’azienda. Questo perché il nuovo arrivato, durante la sacra riunione di divisione dei compiti, aveva giurato di essere un pubblicitario nato e di aver addirittura avuto modo di passare un martedì sera in compagnia di Giorgio Mastrota e Alessandro Greco (pare ci sia stato del tenero fra loro, almeno fino a quando uno dei due non si fece trovare a letto in compagnia di una mountain bike col cambio shimano) in cui gli furono svelati tutti i trucchi del mestiere. Accettai subito dopo essere stato minacciato dal capufficio con un frustino dalla punta avvelenata. E così mi resi immediatamente disponibile condividendo col nuovo arrivato tutte le idee che mi venivano in mente, senza sapere però che era già partito in trasferta, pagato dall’azienda, per girare in solitaria in alcuni luoghi che aveva prescelto per portare a termine il lavoro. Tornò dopo quarantanove giorni trascorsi sulle Isole del Pacifico con seicentomila ore di girato, soprattutto immagini di nuvole: nuvole bianche, nuvole grigie, nuvole nere, nuvole che assomigliavano al giovane Andreotti, insomma un sacco di nuvole diverse. Non aveva preso in considerazione niente che potesse ricordare i prodotti dell’azienda, ma disse che era tutto calcolato: si sarebbe giocato il jolly dello spot poetico strappacuore con una profonda voce fuori campo. Incuriosito, tutto l’ufficio aspettava di vedere il risultato, ma i mesi passavano e lui se ne stava tutto il tempo chiuso in stanza. Diceva che stava sbobinando il girato, che era un’attività molto lunga e delicata. Un giorno, però, avvertii degli strani rumori provenire dalla sua stanza e mi decisi ad andare a vedere. La porta era stranamente socchiusa, ma quanto bastava per intravedere l’obbrobriosa scena a cui da allora non faccio che pensare. Cosa vidi? Il nuovo arrivato stava lì, a cavalcioni della scrivania, sbobinando forsennatamente. Eccome se stava sbobinando. Sbobinava fortissimo, tutte le pareti erano piene di sbobinate, la stanza era diventata un’unica enorme e fragorosa sbobinata. Accorgendosi di me, il nuovo arrivato ebbe un colpo apoplettico e morì sommerso da quelle sue stesse sbobinate. Da allora nessuno ebbe il coraggio di chiedermi niente.
s.