punk is dead #3

Slaughter and the Dogs

Di Stefano Marullo


Cominciamo oggi un racconto del punk rock attraverso le teste di serie secondo me più rappresentative, che ci permetterà anche di spaziare nel vastissimo mondo dei sottogeneri e delle contaminazioni. Partiamo con i manchesteriani Slaughter and the Dogs.

Precocissimi, formatisi nel 1975, quando in Inghilterra non c’era molto altro e i Sex Pistols, che consacrarono il punk facendolo esplodere nel 1977, facevano le loro prime apparizioni. Fortuna volle che proprio ai Pistols fecero da spalla inanellando una serie di incontri davvero fortunati; in primis con quel Rob Gretton che in seguito sarà il manager nientemeno che dei Joy Division, e poi il contatto, seguito dalla firma, con la major Decca records, evento più unico che raro per una punk band agli esordi, con la quale pubblicheranno il loro primo album Do It Dog Style nel maggio del 1978, quando già il punk era mainstream nel Regno Unito con qualche mese di ritardo rispetto alla scena d’oltreoceano. Alterne vicende porteranno il cantante Wayne Barrett a separarsi dal resto del gruppo (che abbrevia il nome in Slaughter e cambia stile) già nel 1979 per ritornarvi a metà degli anni Novanta. Formalmente il gruppo è ancora in attività.

La formula Slaughter and the Dogs è pressoché perfetta a cominciare dal nome: “Carneficina e i cani” è l’appellativo d’ordinanza quasi ovvio per una punk band, in buona compagnia con i vari Stranglers (“Strangolatori”) o Damned (“Dannati”) solo per fare qualche nome tra quelli che da lì a poco occuperanno la scena, nomi persino blandi rispetto a quelli che verranno dopo, per tutti gli americani MDC (acronimo di Million Dead Cops ovvero “Milioni di poliziotti morti”!), se non si vuole parlare dei Rudimentary Peni (inglesi anche loro).

Il singolo “Where Have All the Boot Boys Gone?” (una piccola confidenza: penso si tratti del primo 45 giri di punk rock entrato a casa mia in illo tempore) che vi propongo, è poi la sintesi ideale di un pezzo punk rock: suonato in due/tre accordi ad alta velocità, un assolo quasi abbozzato, cantato e poi urlato verso la fine, ha anche il pregio della iconoclastia perché fa il verso ad un altro brano classico del folk: “Where Are All the Flowers Gone?” di Pete Seeger che ebbe un certo successo negli anni Sessanta e che fu interpretato anche da Marlene Dietrich e Joan Baez. Il riferimento ai boot boys è al sottoproletariato urbano giovanile. L’esecuzione scarna, distorta ed essenzialista del pezzo non deve però indurre in errore; “Where Are All the Boot Boys Gone” confluirà nell’album d’esordio già citato che contiene altri singoli come, per esempio, “Dame To Blame” dentro il quale c’è un assolo chitarristico che va avanti molti minuti. Giusto per mettere i puntini sulle “i” rispetto alla leggenda metropolitana che le punk rock band non abbiano grandi qualità tecniche.


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