Nascita e significato del punk
Di Stefano Marullo
Al titolo di questo articolo occorrerebbe forse aggiungere una specificazione, “rock”, perché non è mia intenzione affrontare il senso di quel variopinto movimento che fu, ed è, il punk, con categorie extramusicali, nel qual caso dovremmo scomodare concetti di stampo filosofico e sociologico, dal situazionismo al nichilismo, che ci porterebbero lontano e poi, francamente, vi annoiereste a morte. [Digressione: solo Stefano Scrima, il nostro direttore, e pochissimi altri, hanno la capacità di traslitterare la filosofia facendola diventare divertissement, senza per un attimo derubricarne l’intima forza epistemologica].
Il punk è stato soprattutto una rivoluzione musicale e su questo versante occorre prendere il toro per le corna. Ovviamente il contesto storico, il turbinio della storia se volete, ha una sua rilevanza perché ogni espressione artistica non può essere avulsa dalla cogenza contemporanea, perfino l’astrattismo è comunque fuga dal presente e ne conserva un rapporto, seppur per negazione. Ma come per ogni principio individuationis che si rispetti, partiamo dall’anagrafe.
Dove e quando è nato il punk?
Riguardo al primo punto, dobbiamo parlare di una genitorialità latu sensu tra Inghilterra e Stati Uniti. Dimenticate però le date convenzionali, ovvero il 30 marzo 1974, prima esibizione dei Ramones (come trio) al Performance Studio di New York o il 6 novembre 1975, debutto dei Sex Pistols al St. Martins College di Londra che pure hanno una loro importanza per l’annalistica; per la cronaca le due esibizioni furono disastrose, ma questa è un’altra storia. Piuttosto i prodromi del punk rock sono da ricercare nella british invasion che coinvolse l’America nel corso del triennio 1964 – 1967, attraverso quell’orda di gruppi inglesi che sull’onda della Beatlemania, con i baronetti che scalavano le classifiche e vendevano gadget improbabili (la bottiglietta con il “fiato” dei quattro scarafaggi le supera tutte), conquistavano il Nuovo Mondo: Rolling Stones, Kinks, Who, The Pretty Things, Animals, The Troggs, Them giusto per fare qualche nome. Gruppi che riesumavano un suono che mischiava rock’n’roll e rhythm and blues della decade precedente e che verranno conglobate nel sottogenere garage che tanta fortuna avrà negli anni a venire.
In particolare sarà Lenny Kaye, futuro chitarrista di Patti Smith Group, con le sue compilation Nuggets a immortalare per primo i gruppi garage rock della seconda metà degli anni Sessanta e ad usare per la prima volta il termine punk rock in copertina. Il termine punk rock verrà sdoganato con riferimento ad un gruppo di band americane dei primi anni Settanta: Stooges, MC5, Velvet Underground, New York Dolls, Dictators, spesso delle vere e proprie meteore ma fondamentali per cominciare a dare al punk la fisionomia di un genere a se stante. Quindi non è errato indicare la nascita del punk negli Stati Uniti nei primi anni Settanta con un debito notevole verso le band della predetta british invasion. Molte punk band blasonatissime come Ramones, Sex Pistols, Buzzcocks, The Real Kids si cimenteranno a fare loro versioni di pezzi garage dei Sixties e dei gruppi americani succitati dei primi anni Settanta.
Quanto al significato del punk dal punto di vista musicale, esso rappresenta un vero detonatore e un corto circuito rispetto a quello che era il rock fino a quel momento. Un rock sempre meno “roll”, fatto di virtuosismi e solipsismi artistici con una distanza abissale tra rockstar e pubblico. Per capire bene quello che intendo dire provate a confrontare i diciassette minuti di un pezzo come “In-a-gadda-da-vida” degli Iron Butterfly o, gli oltre ventitré “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd (non a caso Johnny Rotten indossava una t-shirt con la scritta “I hate Pink Floyd”) con un qualsiasi pezzo di una punk band che non va oltre i due o tre minuti (se vi appassionano le effemeridi annotatevi “The Psycho Squat” dei
Rudimentary Peni o “La mia vita” degli italiani Peggio Punx che superano di poco i trenta secondi).
In questo senso il punk rappresenta la terza rivoluzione della musica rock, dopo la prima, con il rock’n’roll (e derivati) degli anni Cinquanta, il beat (e derivati) degli anni Sessanta del secolo scorso. Con un’attenzione nel recuperare l’energia, il meraviglioso primitivismo dilettantista che fu proprio del rock degli albori. Il rapporto tra punk e garage rock è imprescindibile, non a caso i termini garage/rock e garage/punk sono diventati sinonimi. Poi certo, anche il punk si è scomposto in mille rivoli, spesso si è smarrito inseguendo le mode dettate dal mercato con hardcore e pop-punk che ne sono diventati gli estremi. Ma senza quel cordone ombelicale con il rock’n’roll primigenio vuol dire poco o nulla, e non se ne comprenderà il suo senso profondo.