Di Paolo Albani
A Monica S.
La moglie di Attilio Malcaldi, una signora di mezza età che si chiama Maria e fa la
rammendatrice in un piccolo opificio artigianale di Castelfranco Veneto (Treviso), infaticabile stacanovista, una brava donna, «timorata di Dio» come si diceva una volta, è stanca di dover accudire il marito che in paese, diversamente da lei, ha la nomea, e non a torto, di essere un lavativo, uno scansafatiche, perché se ne sta tutto il giorno appeso a un filo. Fisicamente appeso a un filo, e da lì non si muove.
Poco dopo la Porta Cittadella o Porta Musile, da cui si accede al centro storico di Castelfranco Veneto, c’è la casa dei coniugi Malcaldi. Alzando gli occhi, cento metri più avanti della porta, sulla destra, s’intravede la terrazza della casa dei Malcaldi, e sulla terrazza, a ogni ora del giorno, il passante può distinguere in modo chiaro il corpo di Attilio Malcaldi che penzola aggrappato a un filo di ferro plastificato, di quelli che si usano per stendere i panni.
Attilio Malcaldi è un tipo esile, mingherlino, alto non più di un metro e sessanta (a proposito, sapevate che Giuseppe Garibaldi, sì lui, l’eroe dei due mondi, il condottiero dei Mille, quello che svetta fiero a cavallo su centinaia e centinaia di monumenti in tutta Italia, era alto 1,66?). Anche Attilio Malcaldi è piccolino, uno scricchiolo, pesa come un pugile nella categoria dei pesi piuma, esattamente 56 chili. Per questo, non ha alcuna difficoltà a restare appeso a un filo, non c’è il rischio che cada, e si faccia male, magari slogandosi una caviglia, anche quando, specialmente d’inverno, si alza il vento che lo fa dondolare un po’, come una camicia stesa a asciugare.
All’inizio la moglie di Malcaldi, preoccupata di non ingigantire lo scandalo già serpeggiante in paese, ha sempre glissato con tutti – le amiche, i parenti, i vicini di casa – circa la decisione del marito di posizionarsi sulla terrazza, appeso a un filo. Non gli è venuto da protestare, è rimasta in silenzio, affranta e allo stesso tempo vittima di una puntina bruciante di senso di colpa: «L’ha fatto
contro di me? Per punirmi?».
«Prima o poi gli passerà», si è detta in cuor suo, rinunciando a trovare una spiegazione sul perché di quella scelta assurda del suo Attilio.
Ogni giorno la signora Maria sale su un piccolo scaleo metallico in modo da raggiungere l’altezza da cui penzola il marito (circa un metro e mezzo dal pavimento della terrazza), questo per fargli la barba, con un rasoio a mano, dopo averlo insaponato. Non solo, ma tre volte al giorno Maria, con santa pazienza, si mette l’animo in pace e fa mangiare il marito che, non potendo staccare le mani dal filo a cui è appeso, viene imboccato, come si fa con i malati in ospedale, anche se Attilio Malcaldi non soffre di nessun disturbo com’ha certificato più volte il medico di famiglia che lo visita periodicamente, salendo anche lui sullo scaleo metallico utilizzato dalla moglie per rifocillare e pulire il marito, e cambiargli gli indumenti.
E per i bisogni corporali, vi domanderete, come fa Attilio Malcaldi, stando appeso a un filo? Semplice. Allo stesso modo di come fa per mangiare e per prendersi cura della sua igiene personale: la moglie, che non so dove trovi tanta abnegazione e generosità, sale sullo scaleo munita di un pappagallo di plastica, o orinale, e all’occorrenza di un piccolo secchio in zinco. Solo che in quei delicati frangenti, per evitare che qualcuno dalla strada o dalle case di fronte veda Attilio Malcaldi impegnato nelle sue funzioni più intime, la moglie lo copre con un lenzuolo bianco che blocca con delle mollette infilzate sul filo da panni, a sinistra e a destra del corpo del marito.
Fra le numerose incombenze che la moglie del Malcaldi assolve, suo malgrado, ci sono la lettura dei giornali che, dallo scaleo, puntualmente gli fa, soffermandosi sugli articoli selezionati dal marito; l’aggiornamento continuo delle pagine dei social (Facebook, Instagram, X, TikTok) che Attilio Malcaldi frequenta assiduamente (sarà pure un lavativo, ma in rete è attivissimo, non si perde una notizia), e inoltre la compilazione delle parole incrociate, passatempo preferito da Attilio Malcaldi, che è un enigmista provetto. Lei gli legge la definizione e il numero delle caselle in orizzontale o in verticale, lui le dà la risposta che la moglie, con un lapis, si affretta a trascrivere su «La Settimana Enigmistica», dato che lui le mani, callose per lo sforzo e protette da guanti da lavoro in pelle, le ha impegnate nel tenersi sospeso in aria.
Nonostante la posizione acrobatica non proprio edificante e scomoda (almeno dal mio punto di vista), Attilio Malcaldi non ha smesso di frequentare gli amici. Non potendo andare al bar, come prima, ha ridotto drasticamente il numero degli amici con cui s’intrattiene appeso al filo in terrazza. I pochi privilegiati (non più di due alla volta, in turni programmati) si siedono ai piedi penzolanti di Attilio, su delle seggioline di vimini predisposte dalla moglie, e conversano del più e del meno, di calcio, di politica, di quello che avviene in tv (in terrazza, dentro un cestino, calato giù dal tetto con una corda, Attilio si è fatto mettere un piccolo televisore che gli arriva proprio all’altezza degli occhi), degli scioperi che paralizzano i trasporti, della seconda elezione di Trump, del governo che non governa, delle divisioni nell’area di sinistra, di quella lì che sembra sia rimasta incinta dopo una relazione con un ministro della Repubblica.
La gente a Castelfranco Veneto parla spesso di «quel signore appeso a un filo», figuriamoci se la gente si lascia sfuggire un fatto di cronaca così particolare, la sua storia è sulla bocca di tutti, si ricamano chiacchiere sulla vita di Attilio Malcaldi, risvolti inventati di sana pianta, notizie false, aneddoti sui motivi che lo hanno spinto a quella scelta incomprensibile, in primo luogo la voglia di non lavorare; persino sui giornali locali sono usciti degli articoli di cronaca dedicati al «folle sospeso in aria», questa l’etichetta che gli hanno affibbiato i cronisti.
Qualcuno si è domandato se Attlio Malcaldi, quando cala la sera, abbia il buon senso di scendere dal filo a cui è aggrappato e vada a dormire nel suo letto, al calduccio, accanto alla moglie. Per dissipare il dubbio, una volta dei giovinastri di Castelfranco Veneto, incappucciati per non farsi riconoscere dalle telecamere sistemate in strada, sono passati sotto la casa dei Malcaldi, a notte fonda, verso le tre, e hanno illuminato la terrazza con una potente torcia.
Attilio Malcaldi era lì, appeso al filo, che dormiva tranquillo e beato, sembrava un angioletto del Giorgione. Tanto tranquillo che, nonostante la precaria posizione cui nessuno l’ha costretto, russava come un trattore in movimento, infrangendo con il suo ronfare rumoroso il silenzio della notte.
Si è svegliato di soprassalto solo quando i giovinastri, figli di puttana, gli hanno tirato un petardo sulla terrazza.