Possessione

Quella volta, per vincere la noia, facemmo credere alla collega che Corona se la intendeva con il Grande Ingannatore. Lei molto pia, Corona ateo, io normale. Triangolazione già esoterica, che non guastava nel programma generale.

“Da un po’ è strano, mi preoccupa”, le dissi in confidenza. “Frequenta brutta gente, parla di messe nere, di fedeltà a Satana”. Lei si segnava, mi implorava di smetterla, perché, a parlare del Maligno, si finiva per evocarlo. “Direi che ormai è già stato abbondantemente evocato”, infierivo, godendo del suo sgomento.

Nei giorni seguenti, Corona fu magistrale. Sussurrava litanie incomprensibili quando la pia era nei paraggi, indossava una lisa maglietta dei Black Sabbath, tracciava croci rovesciate su fogli di appunti che lei, ossessionata dall’ordine al punto da sconfinare sulle scrivanie altrui, si ostinava a impilare.

La possessione era ormai conclamata agli occhi della collega, che però a breve sembrò farsi coraggio e intraprendere una missione. “Credi in Cristo, salvati!”, gli diceva quando lo incrociava nei corridoi. Corona bestemmiava di rimando. “Torna nella fede!”, gli intimava. E lui: “Lasciami in pace, puttana”.

Presto Corona smise di parlare dello scherzo quando eravamo soli e se ero io a tirare fuori il discorso era come se facesse finta di non capire. Intanto, le sue reazioni alla pia diventarono sempre più eclatanti. Dalle bestemmie e dagli insulti, passò alle minacce con versi gutturali, fino a ferocissimi e prolungati ringhi. Lei, però, non mollava, anzi: reagiva con intensità conseguente.

Fu un climax potentissimo, fino al Giorno Finale, quando la collega gli si parò rapidissima di fronte e lo asperse d’acqua benedetta stappando una statuina di plastica della Madonna di Lourdes: “Esci da lui, Satana!”. Corona si gettò a terra ululando e contorcendosi, cacciò schiuma dalla bocca tra soffocati mugolii, fino a perdere i sensi. Lei si chinò al suo fianco, gli sussurrò all’orecchio: “Dio ti ha salvato”, poi tornò sorridente alla sua postazione.

“Basta, così è davvero troppo. Non è più divertente”, gli dissi quando riaprì gli occhi. Lui non rispose, mi fissò a lungo sconvolto e perduto, grosse lacrime gli solcarono il viso. Si rialzò, raccolse le sue cose e andò via.

Corona non tornò più in ufficio. Non rispose a nessuna delle mie chiamate. Sulla sua scrivania restarono impilati gli appunti con gli scarabocchi satanici, finché la postazione fu assegnata a un altro collega.

Lo rividi per caso quasi un anno dopo, la domenica prima di Pasqua. Dimagrito e invecchiato, distribuiva rametti d’ulivo ai fedeli davanti a una chiesa del centro. Cambiai velocemente marciapiede e mi allontanai prima che potesse accorgersi di me. Ebbi però il tempo di notare, a pochi metri da lui, la collega pia. Mi parve enorme, ingigantita dal suo trionfo.

e.


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