Kieran Culkin è meglio di Timothée Chalamet

Di Edoardo D’Elia

I discorsi degli Oscar sono meglio del premio in sé perché ci fanno vedere la persona vera, emozionatissima, dietro all’attore o all’attrice. E perché tutti abbiamo pensato almeno una volta a cosa diremmo se vincessimo noi. Quest’anno sono stati un po’ noiosi, tranne uno.

Mikey Madison, la protagonista di Anora (film che ha vinto tutto ed è costato meno di tutti) non se l’aspettava davvero di vincere come miglior attrice, così si è limitata a leggere una serie molto educata e compostamente commossa di ringraziamenti. Qualche giorno prima era stata al Graham Norton Show e Robert De Niro le aveva detto che non aveva grandi consigli ma che se prepari il discorso è quasi certo che poi non vinci. Si vede che l’ha ascoltato. Ma alla fine è già memorabile che abbia vinto, quindi possiamo perdonarla.

Adrien Brody ha vinto l’Oscar per il miglior attore protagonista con un film con cui non poteva non vincere (tante negazioni per non essere troppo espliciti), il che già è poco eccitante dall’inizio, perché si immagina subito cosa dirà. E infatti ha detto quello che tutti si immaginavano avrebbe detto. Con l’aggiunta di alcuni minuti di self-help — minuti molto oltre i termini concessi dall’Academy, che ha fatto partire due volte la musica atta a scacciare i premiati dal palco. Ha parlato di lui che ce l’ha fatta di nuovo, dopo che lui aveva avuto dei problemi, nonostante lui ce l’avesse già fatta prima; insomma lui era quel lui che stava vincendo nonostante fosse convinto che non avrebbe più vinto; e quindi, mi raccomando, che nessuno smetta mai di sognare e di credere in sé stesso.

Stare lì sopra dev’essere un’emozione talmente forte che non va giudicato nessuno, qualsiasi cosa dica. E come tutte le emozioni forti, fa crollare quasi del tutto la maschera. Dietro la bellissima, perfetta, favolosa maschera di Adrien Brody attore, è spuntato un Adrien Brody uomo che pare non aver ancora risolto del tutto il suo rapporto con il riconoscimento del mondo. Ma, d’altronde, chi l’ha risolto? Chi mai lo risolverà? Poi lui deve recitare bene, mica fare bei discorsi. Per quelli, alla peggio, basta far partire la musica.

Kieran Culkin ha vinto come migliore attore non protagonista e forse già in molti avranno fatto la battuta che sembra il premio alla sua vita. Lui è il fratello strambo di Macaulay Culkin, quello di Mamma ho perso l’aereo, e si può immaginare che, dopo una vita nell’ombra, affermarsi con così tanta forza (prima Succession, ora l’Oscar) e vincere proprio da “non protagonista” è una bella espressione dell’ironia del mondo.

Comunque, almeno lui ha fatto un discorso divertente, autentico, ha detto delle cose vere, normali, sue. Ha detto fuck per sbaglio all’inizio. Ha ringraziato la sua manager e i suoi genitori per aver “provato” a educarlo: “So che ce l’avete messa tutta!”. Ha detto a Jesse Eisenberg (il regista del film) che è un genio e ha aggiunto “goditelo perché non te lo dirò mai più”. E poi ha dedicato il premio a sua moglie, che lo guardava sorridendo invece di piangere per la commozione (altro punto originalità). Ha raccontato che un anno fa ricevendo un altro premio disse pubblicamente che voleva un terzo figlio, perché lei gli aveva promesso che l’avrebbero fatto se lui avesse vinto. Ma poi venne fuori che lei l’aveva promesso solo perché era convinta che non avrebbe vinto. Dopo quel premio, nel parcheggio, lui disse che in realtà ne voleva quattro e lei rispose: “Ne facciamo quattro se vinci un Oscar”.

Uno dei giochi più belli è pensare a cosa diremmo noi se vincessimo un Oscar, poi però i discorsi più belli sono quasi sempre quelli di chi non sa bene cosa dire quando prende in mano la statuetta. O anche quelli di chi riesce a dire qualcosa di se stesso mentre parla di chi l’ha aiutato, amato e cresciuto, invece che sbrigare i ringraziamenti solo per poi parlare di sé. Come, per esempio, ha fatto Timothée Chalamet agli Screen Actors Guild Award qualche settimana fa, dicendo che sa che di solito non si dice, ma lui lavora per raggiungere la grandezza! A noi fa tanto piacere sentirlo e che lui sia un predestinato è piuttosto chiaro. Ma non si dovrebbe dire mica perché bisogna essere ipocriti o falsamente modesti, non si dice perché semplicemente non è una cosa da dire agli altri, è una cosa che uno dice a se stesso. 

Ad ogni modo, anche analizzare i discorsi è soltanto un gioco, perché il problema, sopra al palco dei premi Oscar, è che non c’è nulla di più, non esiste una forma più alta di riconoscimento, di affermazione. E questo è un peso insostenibile, quindi non si può giudicare, ma solo invidiare senza deprimersi.

Forse è vero che dopo l’intera vita passata a sognarlo, una volta preso in mano l’Oscar e risposto ai giornalisti e partecipato alle feste, tutti tornano nel parcheggio e parlano con le persone con cui parlavano prima, delle stesse cose e nello stesso modo. Forse è vero che alla fine rimangono persone come noi, stanche e assonnate in un parcheggio, ma con una statuetta dorata in mano. Eppure anche questa riflessione banale e retorica suonerebbe meglio se io, che scrivo, avessi vinto un Oscar. 

Gary Oldman, nel 2018, ha vinto l’Oscar come migliore attore protagonista per aver interpretato Winston Churchill ne L’ora più buia, e ha fatto uno dei discorsi più semplici e autentici e veri degli ultimi anni. Al posto del parcheggio c’era il tè e invece di ridere per la moglie era difficile non commuoversi per la madre. Ha ringraziato tutti, sua moglie e gli altri nominati (tra cui Timothée Chalamet), poi in chiusura anche sua madre. Ha detto: “Vorrei ringraziare mia madre, che è più anziana di Oscar, ha 99 anni. Sta guardando la cerimonia comoda sulla sua poltrona. Voglio dirle: Grazie per il tuo amore e per il tuo supporto. Metti su la teiera, porto a casa Oscar’”.

I discorsi degli Oscar sono meglio degli Oscar perché i premi e i riconoscimenti cambiano le persone, e il discorso ci dà la rara possibilità di assistere al momento preciso in cui quel cambiamento avviene. Mentre, purtroppo, nella vita reale uno si accorge di essere cambiato, migliorato o peggiorato, solo molto dopo che è già successo. Perché se è vero che siamo l’unico animale capace di guardare dentro di sé, è vero anche che vediamo tutto in grande differita.