Di Andrea Belushi
Ultimo giorno di riprese per il secondo disco dei Wonder Vincent al Jap di Perugia che da una settimana era diventata a tutti gli effetti una residenza forzata; gli altri due della band erano riusciti a registrare le loro parti nel corso dei due mesi precedenti, lavorando pure sui dettagli, lasciandomi in dono la grazia succulenta delle infinite possibilità melodiche da percorre. In ornitologia io verrei catalogato “Stachanov Procrastinatore”: minuscolo uccellaccio vizioso dal piumaggio perennemente unto di polline e rugiada che sbriga la burocrazia della migrazione all’ultimo minuto e senza troppi cazzi. In una settimana ho scritto e registrato le voci principali, i cori e i vari barocchismi-cataclismi da prima donna. Quella sera ho chiesto ai ragazzi di venire a bere qualcosa con me in centro a Perugia ma entrambi avevano da fare non so cosa, quindi decido di avviarmi da solo con una sete graffiante ed orrenda. Arrivo in centro ed inizia a buttar giù una di quelle rare piogge finissime tipo shoah delle fate. Mi dirigo verso il Bloop, un locale tra i vicoletti del centro in cui si ascolta sempre buona musica e si beve con pochi spicci. Serata abbastanza insulsa; la band smette di suonare dopo 20 minuti perché il batterista è ubriaco fradicio e cade più e più volte dallo sgabello, la sala è mezza vuota e c’è un’insopportabile puzza di crack. Ordino un vodka-tonic, esco dal locale per fumarmi una sigaretta e noto una ragazza vestita da sposa tutta sola sotto quella pioggia finissima. Mi avvicino a lei e nel preciso istante in cui provo a ripararla con l’ombrello mi abbraccia premendo la sua nuca sul mio petto. Dopo qualche secondo alza la testolina e mi dice: “non puoi capire che giornata assurda ho avuto… mi chiamo Ingrid, ti va di salire da me?”. Dai suoi occhi sgocciolava l’intero spartito di un valzer d’addio suonato sul fondo del Danubio. Accetto l’invito, acquisto una bottiglia di vodka al bar e dopo qualche minuto saliamo a casa sua. Ingrid spalanca le porte del suo minuscolo monolocale e vengo immediatamente messo al tappeto dalla quantità di tele appese ed accatastate in giro per la stanza. Mi fa accomodare sul divano e dice: “vado un attimo in bagno ad asciugarmi e pulirmi il viso. Te nel frattempo prendi un paio di bicchieri e fa come se fossi a casa tua”. Per qualche motivo sono assolutamente a mio agio; prendo due calici, ci verso della vodka e dopo pochi minuti Ingrid torna insieme a tutta l’orchestra che suonava sul fondo del Danubio. Il demonio mi vivisezioni se non era bella; un biondissimo cherubino in abito da sposa appena uscito dalla sala vip di un cinodromo sovietico. Occhi color mare avvelenato dal plutonio, labbra rosse e carnose modellate dall’arpa tirannica che diede inizio alla separazione della Pangea. Mi si siede accanto e sorridendo dice: “posso chiamarti Dorothy?”. Annuisco, mando giù la vodka in una sorsata e le chiedo se posso mettere un po’ di musica. Ingrid strizza gli occhietti, si alza per prendere il computer e dice: “ora ci spariamo la playlist che ho fatto per le grandi occasioni”. Temo il peggio; tiro fuori il tabacco, rollo una sigaretta, ricarico il calice ma all’improvviso parte “Winters Love” degli Animal Collective. Sono fottuto. Ingrid inizia a danzare e man mano tira giù un po’ di tele dalle pareti per posizionarle accanto al divano. Abbassa il volume della musica, salta su una sedia e da inizio al suo show: “Dorothy cara, benvenuta nel mio atelier! Io sono Ingrid ma il mio nome d’arte è Ina Zisty! Stasera ti presento la mia serie di tele intitolata: La sedia alla sinistra del Padre”. Ina scende dalla sedia, posiziona 5 tele in serie sul muro davanti al divano e dice: “mi assento 10 minuti, forse più, ma torno con una sorpresina. Te intanto fa ciò che ti pare ma non distogliere lo sguardo dalle tele”. Afferra la borsa e se ne va sbattendo violentemente la porta. Ricarico il calice, rollo un’altra sigaretta e quindi mi concentro sulle opere. Tutte e 5 hanno in comune una grossa sedia elettrica, ognuna di un colore diverso e su ognuna di esse siede qualcosa.
La prima sedia è gialla e a sedere ci sono quasi tutti i grattacieli più famosi del pianeta.
La seconda è bianca e a sedere c’è una grossa costola umana sanguinante.
La terza è verde acido e sullo schienale spicca una gigantesca vagina cucita col fil di ferro.
La quarta è blu e sempre sullo schienale c’è uno di quegli orrendi adesivi con la famigliola tradizionale felice con la scritta “happy family on board” che certi stronzi appiccicano sul lunotto delle loro auto. Sotto le gambe della sedia c’è una ragazzina nuda accovacciata con la pelle tumefatta che si tiene la testa tra le mani.
La quinta è nera e lì per lì non riuscivo a vedere cosa ci fosse posizionato ma avvicinandomi ho notato una fede nuziale incollata sulla seduta. La porta si apre di botto, Ingrid entra e sbraita: “Dorothy cara, quello l’ho ultimato proprio oggi pomeriggio!… ora torna a sedere sul divano che ti ho portato una sorpresina!” Si toglie le scarpe lanciandole in aria poi viene a sedersi accanto a me e strizzandomi le guance dice: “sei pronta Dotty dolce Dotty?”. Ingrid si volta di spalle, fruga nella borsa e si rigira verso di me con due collanine con su attaccata una piccola fiala contenente un qualche liquido trasparente. Inizia a farle penzolare davanti alla mia faccia e dice: “sono stata da una mia amica artigiana che abita qui vicino. Le ha fatte in meno di 15 minuti! Una è per te, l’altra è per me!” Naturalmente le chiedo cos’è quel liquido e lei risponde: “la cosa più rara e preziosa di sempre che mai più tornerà: qui dentro c’è la pioggia di stanotte”. Appena finisce di pronunciare quelle parole parte il ritornello finale di “Tonite it Shows” dei Mercury Rev e Ingrid mi abbraccia di nuovo ma stavolta scoppia a piangere pressando la sua testolina sul mio petto. Noto che ha un ciauscolo tatuato alla base del collo. Improvvisamente si alza di scatto e senza asciugarsi le lacrime si versa un bicchierone stracolmo di vodka poi mi chiede cosa penso della sua nuova serie di quadri. Non faccio in tempo a fiatare che inizia la seconda parte del suo show: “Allora Dotty, chi cazzo siede alla sinistra del Padre? Ovviamente le fottute conseguenze del millenario strapotere maschile!
La prima sedia è gialla, il colore della tracotanza grazie alla quale son riusciti a costruire quei mostri di celebrazione fallica. Scossa!!!
La seconda è bianca, il colore della menzogna. E quella cosa che sta per essere abbrustolita è la costola di Adamo.
La terza è verde, il colore della gelosia e quindi del possesso simboleggiati da una vagina cucita col fil di ferro; anche se riesci a liberartene non smetterai mai di sanguinare. Niente scossa, Dotty! È inutile friggere qualcosa che è già cadavere.
La quarta è blu, il colore del trauma, della violenza e del distacco emotivo. A 13 anni sono stata stuprata dal mio insegnante di ripetizioni sul sedile posteriore della sua auto e mentre abusava di me non ho fatto altro che fissare l’adesivo appiccicato sul lunotto in cui teneva per mano la sua famiglia perfetta. Scossa???
La quinta è nera, il colore della rivolta. Stamattina mi son svegliata con già le idee chiarissime. Entro in un negozio di abiti da sposa; ne provo talmente tanti che ad un certo punto la commessa perde la pazienza e se ne va al piano di sopra. Ne approfitto per fuggire a gambe levate con indosso questo vestitino, salto sul primo autobus e scendo dopo poche fermate per rifugiarmi in un bar. La fede invece l’ho comprata in una bancarella al mercato coperto. L’anello al dito altro non è che sudditanza, una promesso di schiavitù, il tramonto di ogni atto di rivolta!”.
Trascorrono pochi istanti di mantecato silenzio poi Ingrid decide di spegnere tutte le luci lasciando accese solo le luccioline natalizie appiccicate su tutto il perimetro del soffitto. Si stende a pancia sotto sul divano lasciando cadere in terra la lunga gonna nuziale che, come un sipario di spuma oceanica, mi invita ad abbandonare la scena. È giunta l’ora di andare. Accatto le mie cose sparse sul tavolino davanti al divano, apro la porta di ingresso e prima di chiuderla parte “1979” degli Smashing Pumpkins.