Di Alessandro Alfieri
Già negli anni Novanta e per mano dei Fratelli Coen, Fargo era luogo dispiegato ovunque sul territorio americano.
Non unicamente luogo fittizio, e perciò metaforico, o quantomeno espressione dell’inconscio collettivo americano. Sarebbe stato fuorviante.
Fargo esiste, nel cuore del mid-west, capoluogo della contea di Cass nel Nord Dakota. Ma film e serie oscillano tra Minneapolis, Minnesota, Missouri. Con la stessa disinvoltura toponomastica e geografica di John Ford, quando fondò la mitologia americana attraverso il genere western.
Fargo esiste, così come esistono le profondità demoniche dell’impero americano. Sono esistite perché su di esse si erge l’impero; continueranno a esistere anche dopo il tramonto sguaiato e dolorante dell’impero, restando straziante testimonianza del suo passaggio.
All’opposto di Ford, Noah Hawley, che questo lo ha ben recepito dai Coen, nelle cinque stagioni dell’omonima serie guarda sotto il tappeto rispetto all’esaltazione dello spirito americano: Fargo è fatta di villain affascinanti e magnetici, Fargo è fatta di violenza ben orchestrata, di colpi di genio e di talento. Fargo è fatta anche di buoni sentimenti e di dimostrazioni di umanità che arginano ipocrisie e crudeltà. Spesso è fatta di sacrifici, oltre che di un’ondata di cinismo che è della stessa natura del cinismo che regola l’immaginario dell’America profonda, un cinismo “gelido”, impassibile, spietato. Senza retorica però.
Perciò attenzione, Fargo non è una critica al sistema; Fargo non è antiamericana, ma è la dimostrazione che l’America, persino quella profonda lanciata al confine col Canada a dieci gradi sottozero, non è la casa del male. O quantomeno il male ha prodotto anche degli anticorpi. È vero che nell’ultima stagione il bene trionfa sul male, grazie all’intervento di una straricca magnate dell’industria delle armi, ovvero la suocera della protagonista; ma d’altronde la complessità del sistema presuppone che bene e male si scambino le parti in maniera repentina, continua, transeunte. E la violenza slitta tra i due poli senza darsi pace.
Non è antisistemica Fargo, e lo dimostra il coinvolgimento di attoroni fin dalla prima stagione. Essa esalta lo stesso sistema che viene condannato, in una dinamica tipicamente fisheriana dove capitalismo e anticapitalismo, imperialismo e antiimperialismo, americanismo e antiamericanismo si alimentano vicendevolmente.
Per questo può darsi lieto fine e il suo contrario nel medesimo tempo.