Eric Clapton

Eric Clapton nasce a Ripley il 30 marzo 1945 sotto il segno dell’Ariete. Negli anni Sessanta fa il pendolare tra le migliori band britanniche – The Yardbirds, John Mayall & The Bluesbreakers, Cream, Blind Faith – lasciando ovunque, con la sua chitarra, un segno indelebile del suo passaggio. Per dire: già a metà del decennio sui muri di Londra compare la scritta “Clapton is God”, e la cosa non suona nemmeno così esagerata. Ma Clapton non è solo un prodigio della chitarra blues. È un grande compositore e innovatore. Con i Cream inventa il power trio, con Derek and the Dominos firma “Layla” (dedicata alla moglie del suo amico George Harrison, perché il rock non è mica roba per cuori tranquilli), e negli anni Settanta si reinventa più volte, oscillando tra il blues, il country e il pop senza mai perdere il tocco. Sopravvive a una dipendenza da eroina, a un’altra dall’alcol e a più di un periodo di autodistruzione, per poi tornare con album iconici come Slowhand (1977) e ballate strappacuore tipo “Tears in Heaven”, scritta per il figlio tragicamente scomparso. Uno che ha visto il fondo e ci ha suonato sopra. Ah, e poi c’è il piccolo dettaglio che Clapton ha suonato con praticamente chiunque conti nella storia della musica: da B.B. King ai Beatles, da Bob Dylan a Mark Knopfler. Oggi è una leggenda vivente, uno che ha preso il blues dalle radici e l’ha portato in cima alle classifiche senza mai snaturarlo. Se Hendrix era il fuoco e Page la magia nera, Clapton è il bluesman con l’anima in fiamme e le mani d’oro.

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Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima


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