Carlos Santana

Carlos Santana nasce il 20 luglio 1947 ad Autlán de Navarro, in Messico, sotto il segno del Cancro. Negli anni ’60, mentre molti rocker si sfidano a chi fa più casino, lui porta sul palco qualcosa di diverso: un mix di fuoco, anima e spiritualità, suonato attraverso una chitarra che più che uno strumento è una sua estensione. A Woodstock nel 1969, Santana si esibisce in uno degli assoli più iconici della storia con “Soul Sacrifice”. Ma c’è un dettaglio che rende tutto ancora più leggendario: anni dopo, in un’intervista alla CBS, racconta di aver assunto mescalina poco prima della performance e di essere convinto, durante l’esibizione, che il manico della sua chitarra fosse un serpente. Per evitare di essere morso dovette aggrapparsi alla chitarra con tutte le sue forze. Il risultato? Un’esibizione feroce, ipnotica, perfetta. La tecnica di Santana è unica: non ama la velocità né il virtuosismo; le note escono una a una, cariche di emozione, sostenute da un vibrato intenso e da un sustain che sembra eterno. Santana non suona: evoca. Il suo tocco è caldo, liquido, riconoscibile ovunque. È il poeta del wah-wah, il mago del fraseggio soul. Ha iniziato con una Gibson SG e poi ha trovato la sua voce definitiva con le PRS, costruite su misura per il suo stile. Il suo suono nasce dalla fusione di rock, latin jazz, blues e ritmi afro-cubani, in una miscela che nessuno prima (né dopo) ha saputo replicare con tale autenticità. Ha suonato con chiunque: da Miles Davis a Herbie Hancock, da Eric Clapton a Rob Thomas, con cui ha firmato “Smooth”, il brano che nel 1999 lo ha riportato in cima al mondo. Se il rock è spesso rabbia e distruzione, Santana è la sua parte mistica, quasi divina. Dopo più di cinquant’anni, è ancora lì, con la bandana, gli occhiali e l’aria da guru, a dimostrare che sì: la chitarra può davvero essere una preghiera.

*

Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima


Pubblicato

in

da