Botero, tanta roba

Di Mondopasca

Se pensate che Botero sia quello dei ciccioni, fatevi un giro entro il 19 gennaio alla mostra in corso a Palazzo Bonaparte a Roma. Vi confermerà che Botero è quello dei ciccioni (non delle ciccione, sennò è bodyshaming) e che quindi siete dei draghi in storia dell’arte contemporanea. Se poi c’è ancora spazio nelle vostre tronfie testoline (come era la mia fino a domenica scorsa) potrà darvi anche tanto di più.  

Tra l’altro, a farlo diventare il Botero che conosciamo noi draghi in storia dell’arte contemporanea, non è stato un ciccione, ma il mandolino di una natura morta, al quale il Nostro rimpicciolì il buco della cassa armonica trasformandolo in un boterianissimo mandolone. Da lì il giovane Fernando iniziò un viaggio lunghissimo che lo fece diventare un Maestro mondiale senza mai dargli la sazietà di un pasto concluso: non ho mai imparato a dipingere, diceva, devo ancora imparare e scoprire, anche se poi smetteva di dipingere perché aveva bisogno di tempo per imparare anche a scolpire.  

Quanto pesa il potere? Molto. Date un’occhiata alle rivisitazioni dei duchi di Urbino di Piero della Francesca o dell’Infanta Margherita di Velázquez. E quanto è debordante la sua ridicolaggine? Ancora di più, e nei ritratti del Presidente e della First lady a cavallo ti trovi a compatire, divertito, gli equini. Il grasso potere sa ammantarsi di sacro, come quel vescovo che fa il bagno vestito nella vasca, mentre un servente gli regge l’asciugamano, o quell’altro vescovo che cammina purpureo in una verdissima jungla, mentre un altro servente gli regge l’ombrellino.   

Ma pesa anche l’intimità. Quella di una donna in bagno che si pettina allo specchio. O quella teneramente condivisa di una coppia a fine picnic, lui dorme, lei fuma (e si vede solo la mano). O la fantastica intimità ancora più condivisa di un gruppetto discinto alla fine di una serata movimentata in un appartamento. Che poi può essere intima, perché la senti tua, anche la strada colombiana con botteghe e genti di ogni ceto e colore (ma comunque di considerevole stazza) che la attraversa.

Pesa, anzi è pesissima, pure la violenza. Violenza assai familiare a uno che è cresciuto a Medellín, mica a Todi, tra guerre civili, lotte politiche, terrorismo e cartelli della droga. Ecco allora i grossi arti amputati da un attentato, o il viso di Pablo Escobar crivellato di colpi al suo capolinea da latitante. Ma sono le cataste di prigionieri torturati e umiliati ad Abu Ghraib, i loro volti deformati dall’orrore e dalla sofferenza a pochi centimetri dalle zanne dei cani o dal pene di un carceriere a darti la cifra di come il potere eserciti violenza in ogni angolo del mondo. 

Meglio consolarsi con le scene di corrida, anche cruente ma mai disturbanti (se non siete animalisti), o con i malinconici personaggi del circo, senza dover cercare per forza donne cannone, tra clown inevitabilmente tristi, un elefante che riempie da solo un tendone, e acrobati pesanti che volano leggeri.

Se volete un ultimo consiglio, evitate l’audioguida, è una perdita di tempo, e attardatevi invece ad accarezzare le statue, sono liscissime e il bronzo pare morbido, come una panza glabra. I sorveglianti apprezzeranno (come Botero, del resto) e lasceranno fare.  

P.S. Botero o no, a Palazzo Bonaparte dovreste andarci lo stesso. Innanzitutto, è comodo, all’angolo di piazza Venezia, e se siete dentro vuol dire che non siete fuori a sgomitare tra mandrie di turisti con la vista occlusa dalle lamiere verdi del cantiere della metro C. E poi, in quelle stanze visse e morì la mamma di Napoleone (al secolo Maria Letizia Ramolino) e c’è ancora un Napoleone gigante nudo scolpito come Marte pacificatore: quanto è bello immaginarsi la mammina che osserva adorante la statua, le parla, le accarezza un marmoreo polpaccio? 

C’è ancora pure la verandina persianata ad angolo da dove, triste e incarognita per la fine ingloriosa del figlio, la vecchietta spiava nell’ombra romani e romane che si strusciavano su Via del Corso o che si sfrenavano nel Carnevale, fottendosene allegramente del Corso esiliato a Sant’Elena. Anche se non siete vecchi, tristi e incarogniti, potete spiare pure voi.  


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