Paul Simon

Paul Simon nasce a Newark, New Jersey, il 13 ottobre 1941, sotto il segno della Bilancia. Negli anni ’60 incontra un certo Art Garfunkel, con cui forma un duo che farà la storia della musica: Simon & Garfunkel, ovvero “due voci e una chitarra” capaci di far venire la pelle d’oca anche ai muri. Il loro primo successo è “The Sound of Silence” (1965), una ballata malinconica che inizia con “Hello darkness, my old friend” e da lì in poi nessuno ha più salutato l’oscurità con tanta classe. Paul è il cervello dietro le canzoni: scrive testi da poeta metropolitano e suona la chitarra con un tocco unico: la accarezza, la sfiora, la intreccia con la voce come se stesse ricamando melodie. È un maestro del fingerpicking (o, se preferite, arpeggio), quella tecnica per cui si usano le dita al posto del plettro. Lo fa con precisione chirurgica, ma con anima e una magica leggerezza. Ascoltatevi brani come “Kathy’s Song” o “Anji” (cover, ma la suona come se fosse sua) per capire di cosa stiamo parlando. Armonie complesse, accordi presi in posizioni che sfidano l’anatomia umana, e tutto con una naturalezza disarmante. Negli anni ’80 si reinventa con Graceland (1986), disco cult registrato in Sudafrica tra mille polemiche e idee geniali, dove fonde pop, folk e musica africana come se lo facesse da sempre. Ritmi sincopati, chitarre che ballano, testi che sorridono e fanno pensare, tipo “You Can Call Me Al”. A Paul, per aver scritto versi come: “Losing love is like a window in your heart. Everybody sees you’re blown apart” (“Graceland”), gli si perdona tutto, pure il fatto che Garfunkel non gli parli più.

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Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima


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