punk is dead #6

Sex Pistols

Di Stefano Marullo

Se non si può parlare di punk in America senza parlare dei Ramones (vedi articolo della scorsa settimana) è altrettanto pacifico che non si possa parlare di punk nel Regno Unito senza i Sex Pistols che ne sono stati gli artefici. Una vita brevissima, dall’esordio (disastroso) al Saint Martins College il 6 novembre 1975 fino alla conclusione del loro (altrettanto disastroso) tour americano con il concerto di San Francisco il 14 gennaio 1978 quando Johnny Rotten abbandona per sempre il gruppo che formalmente continuerà ad esistere senza di lui fino allo scioglimento alla fine del 1979.

Eppure, nonostante litigi (che continuano tuttora soprattutto con l’uscita di “Pistol”, una miniserie che racconta la loro storia), reunion occasionali, scandali e vere tragedie (l’arresto e poi morte di Sid Vicious), i Sex Pistols rimangono uno dei gruppi più influenti mai apparsi sulla scena del rock, consegnati alla leggenda e immortalati in film come “The Great Rock’n’Roll Swindle” (1980), “The Filth and the Fury” (2000) o “Sid & Nancy” (1986). Di loro sappiamo tutto. Sappiamo anche che il gruppo fu costruito a tavolino dal geniale, dal punto di vista imprenditoriale, Malcom McLaren che già a New York aveva stupito tutti con l’esperienza delle New York Dolls. Lo stesso Rotten, frontman del gruppo, dichiarò di essere consapevole di fare parte di una farsa. Le parolacce in prima serata sulla BBC, il concerto interrotto sul Tamigi mentre ci sono le celebrazioni del Giubileo della Regina (e il singolo “God Save the Queen” scala le classifiche mentre è bandito da tutte le radio), l’Anarchy tour finito a cazzotti con altre band, perfino il “martirio” (leggi morte annunciata) dell’eroinomane Sid appaiono tutte trovate pubblicitarie che però non scalfiscono una verità incontrovertibile: i Sex Pistols, a loro insaputa, hanno fatto partire un movimento inarrestabile che ha cambiato il corso del rock dal 1977 in poi, facendo nascere decine e decine di epigoni, un nuovo stile musicale e catalizzando la rabbia e la rivolta giovanile nel punk.

Tutti i componenti dei Pistols hanno continuato a fare musica anche dopo la fine della band. Johnny Lydon “inventando” (stavolta senza il McLaren di turno alle sue spalle) la new wave con i Public Image Limited (ancora una volta gruppo a cui tutti quelli che verranno dopo si ispireranno), Glen Matlock, primo bassista suonando anche con Iggy Pop, e il duo Steve Jones e Paul Cook suonando insieme in vari gruppi. Salvo poi, come si diceva, ritrovarsi ancora insieme (nel 1996, nel 2002, nel 2007) in posti improbabili raccogliendo migliaia di fan e
punk rockers da ogni dove. Oltre alle loro produzioni (il loro unico album in studio, Never Mind the Bollocks Here’s the Sex Pistols, pubblicato il 28 ottobre 1977 fu uno dei pochissimi dischi punk dell’epoca a guadagnare il disco d’oro e di platino in molte nazioni) i Sex Pistols non disdegnarono il rifacimento in versione punk di celebri brani del passato come “Johnny B Good” di Chuck Berry, “Roadrunner” dei The Modern Lovers e soprattutto “No Fun” degli Stooges.

Proprio cantando “No Fun” Johnny Rotten (al quale perfino Neil Young dedicherà “My My, Hey Hey”) concluderà nel citato concerto di San Francisco la sua esperienza con i Sex Pistols e il pezzo rappresenta esattamente la visione antiromantica e disfattista del gruppo già espressa in brani come “New York” o “No Feelings” (“Nessun sentimento, non ho nessun sentimento per nessun altro tranne che per me stesso, il meraviglioso me”): “Nessun divertimento, piccola mia, nessun divertimento. Nessun divertimento nello stare in giro, nessun divertimento nello stare solo, innamorato di qualcun altro…”.


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