Jack White nasce a Detroit il 9 luglio 1975 sotto il segno del Cancro e probabilmente nell’epoca sbagliata. Nei tardi anni Novanta fonda con Meg White i White Stripes, una band capace di ridurre il rock ai suoi elementi essenziali: chitarra, batteria e una dose letale di carisma. Il loro album del 2001, White Blood Cells, è un mezzo capolavoro, ma è con Elephant del 2003 che Jack partorisce “Seven Nation Army”, quello che diverrà suo malgrado l’inno da stadio che nessuno smetterà mai più di cantare. Chitarrista unico, sporco e imprevedibile, combina riff esplosivi, feedback e slide abrasivi. Mescola blues, punk e garage rock come un alchimista in magliettina rossa (o bianca o nera) e pantaloni abbinati, creando riff iconici che sembrano usciti da un garage di fine anni Sessanta. Geniali e iconici anche i loro videoclip, soprattutto quelli girati con il regista Michel Gondry (vedi “The Hardest Button to Button”). Ma Jack non si ferma ai White Stripes: è fondatore anche dei Raconteurs, con cui esplora un rock più classico e corale (“Steady, As She Goes” ti resta in testa per giorni), e i Dead Weather, con cui si dedica a suoni più cupi e dark, spesso dietro la batteria. Come solista, White ha pubblicato album visionari come Blunderbuss (2012) e Lazaretto (2014), in cui fonde blues, country e sperimentazioni, dimostrando di essere un innovatore oltre che il principe dei nostalgici. E poi c’è Third Man Records, la sua etichetta, una sorta di baluardo per gli amanti del vinile.
*
Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima