Perdenti e grandi
Di Stefano Marullo
Vi sarete chiesti perché alla rubrica pancroc si è voluto aggiungere il sottotitolo “punk is dead”. Ebbene in realtà questa è una sorta di evocazione evangelica; se il seme non muore non può portare frutto. Parlandone noi poi da una prospettiva storica lo si deve giocoforza immaginare come qualcosa al passato.
Questa premessa ci torna utile per riprendere un discorso che abbiamo affrontato l’ultima volta, relativamente al garage punk. Ne torno a parlare segnalandovi un libro uscito nel 2019 dal titolo interessantissimo e dal sottotitolo altrettanto suggestivo: Born Losers. Pepite e lastre di selce. Sulle orme degli eroi perduti e perdenti del garaga-punk che ha come autore Reverendo Lys, al secolo Franco Dimauro, uno che di musica se ne intende e che ha un blog fuori dai circuiti mainstream. Il garage, ovvero rock da bassifondi come lo definisce nella prefazione Federico Guglielmi, energia seminale per il punk che sarebbe
scoppiato poco più in là.
Questo libro ha un’importanza storica e filologica; non ne escono molti di libri dedicati al garage punk, non ne escono molti in lingua italiana, ma Reverendo
Lys diventa persino temerario parlando anche di alcuni tra i più rappresentativi esponenti della scena garage italiana, dai Sick Rose, ai Not Moving sino agli Shadows of Knight. Un vero viaggio tra gli albori della british invasion della metà degli anni Sessanta, e quindi Kinks, Troggs, Who, Animals, Them e altri mostri sacri, passando per le grandi raccolte Nuggets con il meglio della produzione garage e psichedelica, per i grandi gruppi proto-punk americani, Stooges, MC5, Dictators, New York Dolls, e i “profeti marci” del garage revival degli anni Settanta, Dr. Feelgood, Fleshtones, Cramps, per continuare con l’ondata garage che investì gli anni Ottanta, con Chesterfield Kings, Fuzztones, DMZ,
Lyres , Cynics (i nostri Sick Rose che non sfigurano per niente), fino all’ibridismo degli anni Novanta con Mummies, Hoods, Strollers e compagnia bella, e il nuovo periodo d’oro con l’avvento degli anni Duemila (fino ai nostri giorni) dove il garage sopravvive, con gruppi nuovi (dalla Scandinavia al Giappone) e vecchi (clamorosi ritorni), festival, canali e riviste specializzate.
Un viaggio avvincente di mezzo secolo per una musica che rimane piuttosto underground, e questa è sempre stata la sua forza, e che ha dato i natali al punk rock che poi andrà per la sua strada. Band accomunate dal fatto di essere state, tranne eccezioni, vere e proprie meteore ma senza le quali il rock’n’roll sarebbe un reperto storico relegato negli anni Cinquanta.
Un libro necessario, con due grandi nei (quasi) imperdonabili: ci sono volute ben 202 pagine per leggere la prima citazione dei Real Kids, la più grande garage punk di sempre (a parere di chi scrive) mentre veri monumenti della storia del rock come i Gun Club (che di Sixties, garage blues e altre amenità sono stati veri maestri, grandi e perdenti) sono appena accennati.