Di Stefano Marullo
Essere ed apparire, forma e sostanza sono concetti a cui non si sottrae neanche il punk inteso come fenomeno rivoluzionario, nel senso di crash di sistema e discontinuità, che lo si consideri dal punto di vista politico oltre che a livello musicale.
I contenuti che il punk è riuscito a far passare sono il portato di un’eterogenesi dei fini che ha fatto scattare meccanismi di cui i protagonisti non avevano pienamente consapevolezza. Abbiamo in questa rubrica per diverse settimane parlato dei Ramones, gruppo punk americano per eccellenza, che, come si è visto, si è tentato di “raddrizzare” o incanalare entro rotte mainstream e che in fondo ha avuto il merito di rimanere sempre fedele a se stesso pagando il prezzo di essere perennemente underground e fuori mercato. Nei Ramones, icasticamente, etica ed estetica punk trovano la sintesi perfetta.
Altrove, segnatamente nel Regno Unito tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977, in pieno fermento per la nascente scena punk, questa congiunzione non sarà affatto scontata. Fermiamoci un attimo proprio su questa area geografica e sul periodo considerato parlando di due nomi rappresentativi di chi c’era fin dall’inizio: parlo di Crass e Sex Pistols. Sebbene di loro se ne parli su ogni
punk story che si rispetti, si tratta di due mondi assai differenti anzi antitetici.
E qui si marca davvero la differenza tra etica e estetica, tra coerenza e circo mediatico. Paradossalmente i Crass finiscono nel punk senza volerlo e ne rappresenteranno l’anima più pura mentre i Pistols che gridavano “anarchy” e “no future” sognavano di diventare delle rockstar, come i Clash, e del punk si servirono solo per la loro notorietà. A onor del vero, Johnny Lydon si accorse quando già il meccanismo della grande truffa era loro sfuggito di mano, e la sua successiva esperienza musicale come PIL è soprattutto opera, riuscitissima, di decostruzione contro il punk se non contro il concetto stesso di musica (e
ovviamente anche questa forma artistica divenne un genere musicale).
Un confronto di contenuto sullo stesso concetto di anarchia sbandierata nei testi dai due gruppi dà la cifra del differenziale qualitativo; i Crass non solo conoscevano l’anarchia perché l’avevano studiata ma soprattutto perché la praticavano, i Sex Pistols erano semianalfabeti in tal senso, e il loro testo più celebre “Anarchy in the UK” è un concentrato di banalità e frasi ad effetto se non di puro nonsense (“non so cosa voglio ma so come ottenerlo”, sic).
Che dire allora? C’entrano i Crass o i Sex Pistols con il punk? Per nulla e moltissimo specularmente, a seconda del parametro. Esteticamente i Crass non avevano quasi nulla di punk: vestivano di nero, non avevano la cresta né portavano spille o borchie. Però dopo un primissimo approccio andato malissimo, non firmarono mai con alcuna label, si autoproducevano e mettevano a disposizione la loro casa discografica e la loro esperienza per altri gruppi vicini alle tematiche antisistema, al massimo della loro popolarità decisero di sciogliersi, per loro la musica era solo uno dei tanti modi di esprimersi politicamente. L’etica (anarco)punk era totale.
I Sex Pistols esteticamente erano punk fino al midollo, dall’abbigliamento agli atteggiamenti da veri teppisti. Tutto costruito a tavolino da Malcom McLaren. Ma di politica non capivano nulla e se la prendevano con la Regina perché era l’unico modo perché la stampa si occupasse di loro.
Oltre i loro meriti e demeriti, sia Crass che Sex Pistols furono un collante per tutto un movimento che a loro si ispirò e che in Inghilterra fece esplodere il punk che cambiò per sempre il volto del rock, che da allora non fu più lo stesso e tornò ad essere quella roba che chiunque può immaginare di suonare senza per forza essere Eric Clapton o i Pink Floyd, e per gridare al mondo attraverso i testi la propria rabbia e la propria insoddisfazione. In modo più o meno colto come i Crass o più infantile ed adolescenziale come i Sex Pistols.